PERVENIT! Flaminia militare trail 2018

Quando stai correndo da ore, lungo antichi sentieri che da Bologna portano a Fiesole, può capitare che l’emozione, la stanchezza e lo sforzo concentrato di posizionare ogni passo in fila al precedente portino a confondere il vero con il sogno e la storia con il presente…
così i ritmici colpi dei bastoncini sulle rocce divengono borchie di caligae che alternano sudore e bestemmie ad antiche divinità e i materiali tecnici cuoio e lino grezzo che irritano la pelle.

Attimi, istanti confusi ridestati al reale da un rivolo di sudore a bruciare lo sguardo e ti ritrovi coi tuoi amici, lungo il percorso della Flaminia Militare Trail a sudare, faticare, ridere, scherzare in una fantastica giornata di un giorno qualunque della primavera appenninica.

Ma cerchiamo di dare un minimo di ordine…

Via degli dei: percorso che congiunge Bologna con Fiesole attraverso l’appennino tosco emiliano, ricalcando quella via creata dagli etruschi per congiungere Felsina con Fiesole, per poi divenire nel 187 a.c. una strada militare romana ad opera del console Caio Flaminio denominata appunto Flaminia Militare.
Via degli dei perchè transita in prossimità di monti e località quali Monte Adone,  Monte Venere, Monte Luario (Lua Mater o Lua Saturni, dea romana dell’espiazione a cui si consacravano spoglie ed armi dei nemici sconfitti in battaglia), Monzuno (Mons Iovis, monte di Giove).

ULTRA TRAIL VIA DEGLI DEI: gara di ultra trail da 126 Km che percorre il tragitto della via degli dei, giunto, nel 2018, alla seconda edizione

FLAMINIA MILITARE TRAIL: versione ‘corta’ da 56 Km che da Monte di Fò in prossimità del passo della futa, porta a Fiesole sullo stesso percorso dell’ultratrail.

Sabato mattina sveglia tragica e ritrovo alle 5 con Riccardo e Fabio (Andrea sta correndo il percorso integrale già da 5 ore), con destinazione Fiesole per poi prendere la navetta che ci porterà alla partenza a Monte di Fò.
All’arrivo ci accolgono i volontari ed un vento gelido che ci fa raggruppare in un multicolorato gregge nei due bar presenti che subito si trasformano in una allegra zona cambio. Si incontrano amici e facce note e tra un caffè e i soliti lazzi e prese in giro si attende l’ora della partenza.

Strane le gare di ultra, nessuno (o quasi) che si scalda, ci saranno 56 Km di tempo per farlo!

Durante il briefing passano alcuni tra i primi del percorso lungo, partiti 70 Km e dieci ore prima da bologna, li si applaude invidiando la loro velocità e rosicando appena per non aver avuto abbastanza follia da  osare di farla tutta – che lo so che 125 è più del doppio di 56 e che stiamo parlando di chilometri e non di grammi di pasta alla gricia e che se non sei pronto per farne 56 dove cavolo vuoi andare per farne 125 e correre due notti sui monti e che le cose vanno fatte con giudizio che il lunedì si va a lavorare eeeeechecazzzoooooo (si può scrivere cazzo in un blog?) stiamo parlando di adulti che da piccoli amavano saltare a piedi pari nelle pozzanghere fangose, e che non hanno mai smesso di farlo ma che adesso gli danno pure una medaglia e una birra quando finiscono…di cosa stiamo parlando? 😉

Fatta una foto di rito attorno a un trattore lamborghini invidiando chi puo presentarsi con quello al bar del paese pronti via partiamo.

Duecento sono partiti la notte da Bologna e cento partono ora da Monte di Fò; subito il serpentone di trail runner si dipana per affrontare i 300 m di salita al Monte Gazzaro; il meteo è buono, sereno 10 gradi e vento che però tra i boschi non si avverte quasi.

Io Fabio e “Cippo” Riccardo abbiamo deciso di correre assieme e subito perdiamo gli altri amici nel mucchio; inizio a correre e subito il fiato mi manca, so che devo patire una ventina di interminabili minuti prima che i miei polmoni capiscano che è ora di guadagnarsi la pagnotta.

In mano i bastoncini avuti in prestito da Riccardo, un esperimento mai tentato e inizialmente non so bene come gestire questi due leggeri shangai lunghi 125 cm; non ci ho mai corso e voglio vedere se saranno d’aiuto o d’ingombro.
Anticipo la conclusione: li ho trovati molto utili; in salita ci si aiuta con le braccia a spingere, nelle discese tecniche sono basilari per aiutare a mantenere equilibrio e appoggio e ultimo ma non ultimo, si riesce a giostrarli in modo che non impaccino.
Quelli che ho usato  sono in alluminio, non pieghevoli (Gipron Ultralite) e non costosi…
Oggi che scrivo, oltre alle gambe mi fanno male anche le braccia… e mi chiedo se voglia dire che senza averli usati avrei avuto un po’ meno male alle gambe o semplicemente che il male alle gambe sarebbe stato lo stesso, perché oltre un certo livello non possono certo fare più male, e quindi ho solo aggiunto dolore a dolenzia… bof… nel dubbio, la prossima volta li userò ancora!

Dunque appena partiti subito si sale alla volta del monte Gazzaro, trecento metri di dislivello a salire, giusto il tempo di mettere in temperatura le zampe poi giù a picco a caracollare lungo 900 metri di dislivello a scendere alla volta del caldo che ci accoglierà nella piana di San Piero a Sieve e al primo ristoro dopo i due punti acqua (e coca.. cola non quella per curare il diabete)… Pasta, riso , affettati, pane, frutta secca, e un sacco di roba buona a ripagare i primi 24 Km corsi; il tutto condito dai sorrisi, dalla cortesia e gentilezza dei volontari (fantastici!).

Ripartiamo avvolti, dopo i boschi e i crinali, da prati e campi e pendi e cascine e vento e sole e brezze e risate…

…a un certo punto, in fondo ad una strada bianca, dietro il muro di una casa una testolina bionda ed una risata compaiono, scompaiono, riappaiono…”CE NE SONO ALTRI” urla per poi correre via lasciandoci l’immagine dell’orlo azzurro del suo vestitino ed il dubbio di averla vista o sognata..

Svoltiamo un dubbioso angolo in muratura ed eccola, assieme ad altri tre bimbetti e bimbette alti come soldi di cacio che dietro grandi sorrisi inframmezzati da fessure da fatina dei denti ci accolgono…”Volete da bere?” e subito ci vengono incontro portando bicchieri colmi d’acqua fresca… è un attimo di gioia e risate e scherzi, poi una carezza e via verso altri sentieri e crinali.

Un’altra salita non troppo lunga tra boschi e scorci di colline toscane poi rapido arriva il punto acqua del trentunesimo chilometro, a segnare l’inizio della lunga salita che dopo otto Km e 600 metri di dislivello porterà alla vetta e al santuario di Monte Senario.

Salita non dura ma lunga che ci mette alla prova mentre il pomeriggio avanza e le ombre si allungano, e lungo il percorso incrociamo persone e affianchiamo altri trail runner, alcuni tesi e silenziosi, altri cordiali, qualcuno logorroico e così incrociamo conoscenze con chiacchiere ed ogni volta ci stupiamo di quanto siamo diversi ma di quanto siamo tutti uguali.

Finalmente arriviamo al santuario ed al ristoro, alcuni minuti di riposo e poi giù di nuovo, verso quello che si rivelerà il tratto più duro. Una lunga discesa con l’idea in testa di avercela fatta ma troppa strada ancora a sfatare il desio.. e i piedi che fanno male, l’inguine che si infiamma, il sudore che si asciuga e la temperatura che scende e il sole che lento rotola a rincorrere un tramonto da baciare mentre noi si continua.

E, come sempre si parla , si ride, si scherza; si parla delle passioni, delle famiglie, del lavoro e si contano i metri i chilometri gli alberi e i ruscelli.

Una vipera ci attraversa il sentiero, pecore ci guardano assorte, interrotte nel loro contare gli uomini alla ricerca del sonnellino pomeridiano, poi cavalli, ciuchi, auto che sfrecciano nei pezzi di asfalto e passi altri passi e bacchette che battono, fango e polvere e roccia e alberi caduti e sentieri e bandelle segnaletiche che danzano al vento…

Andrea è da qualche parte dietro di noi, partito alla mezzanotte precedente dal centro di Bologna ci aggiorna sulla sua posizione, è più veloce e recupera terreno così inizia che ci vediamo tramutati in legionari inseguiti da un barbaro invasore da tenere a bada, poi il barbaro diviene un huruk-hai e noi… noi non lo sappiamo perché ci perdiamo in una dotta dissertazione su Arwen / Liv Tyler Elfo donna del Signore degli anelli e così per un po’ stiamo zitti…

Andrea poi arriverà una manciata di minuti dopo di noi sul traguardo… ma verrà sfottuto a lungo, perché ha si corso tanti Km più di noi… ma in fondo è partito anche prima.  #amicibastardi

E cala la sera e si accendono le torce frontali, incontriamo un trail runner sul percorso lungo che sembra oltremodo provato, lo recuperiamo a un bivio sbagliato e, scoperto che sono due ore che non mangia “perché sono quasi arrivato” riusciamo a convincerlo a nutrirsi per poi vederlo ripartire, un po’ incerto…

E dopo esserci chiesti ogni cento metri quanto mancasse e  dopo ogni salita che sembrava essere l’ultima ma non lo era e dopo aver visto a lungo Fiesole ecco finalmente il confine della città che compare, e i volontari che ci incitano e la piazza e la ultima curva e l’anfiteatro romano che ci accoglie a percorrere gli ultimi salini a scendere a quella medaglia ambita che salirà ai nostri colli… e ci abbracciamo felici per quanto abbiamo condiviso e per queste ore che ci sono state regalate, ore di pozzanghere pestate e di matta spensierata fatica.

Il ristoro, la doccia, il pasta party e il rientro e di nuovo è già Bologna ed ancora è già casa,

Ed è stato bello….

-PERVENIT-

 

 

 

L’allarme del dosatore di cloro

Sentiva il sole bruciarle la pelle mentre le leggera brezza che scendeva rotolando a ondate dalle colline le increspava la sottile peluria sul braccio,  dandole una di quelle sensazioni così contrastanti che amava tanto…un brivido quasi freddo sull’abbronzatura ed il calore del sole sulla pelle.
Un contrasto dolce e gustoso che le portò subito alla mente Dean, ed i suoi baci sul collo, una sera di pochi giorni prima, nel parco della piscina  alla festa di inizio estate.
Baci rubati al tempo del suo lavoro come bagnina; dolci istanti eterni e la sensazione contrastante delle morbide labbra di lui che le sfioravano il collo mentre i peli ispidi della barba da giovane uomo le irritavano e prudevano la delicata pelle del collo.

Un grido  la riportò coi piedi a contatto con la realtà, una bimba strillava per avere un gelato, piccola con occhioni fintamente lucidi, perfetta nel suo costumino lilla e nei manicotti salvagente che le cingevano le minuscole braccia che teneva alzate e rivolte verso il padre, John Ripley, uno degli aiutanti dello sceriffo, un omone capace di alzare un uomo con una mano sola, che spesso sapeva sedare da solo le risse del venerdì sera giù da Jimmy’s quando gli operai della ferrovia scendevano a fare baldoria con le tasche piene della paga settimanale e voglia di menare le mani e di stringere le natiche delle cameriere…
Ma non oggi, oggi John era  inerme, incapace di gestire la sua adorata Priscilla che faceva i capricci.
Miranda sorrise, John era amico del padre ed era sempre gentile con lei e con tutti, così alzò il suo giovane  tonico corpo post adolescenziale, tornito da tante ore di allenamento in vasca e sotto gli sguardi adoranti dei presenti si avvicinò alla coppia padre figlia.
Chiamò la bambina per nome ottenendo la sua attenzione ed un sorriso grato dal genitore mentre iniziava a chiacchierare allegra con la bambina, già dimentica del capriccio di poco prima.

Poco dopo si sentì chiamare da un punto imprecisato, oltre il campo da beach volley, vicino all’altalena rotta qualcuno non visibile pronunciava il suo nome; incuriosita si avvicinò non capendo ma poco dopo riconobbe la voce, era Dean, evidentemente appena uscito dall’allenamento di lacrosse che affacciato da oltre la rete le sorrideva.
Quel pazzo sconsiderato doveva esser salito sul tetto del suo pickup sgangherato…

Dean le lanciò un pacchetto di carta di giornale, le mandò un bacio e sparì dietro la rete ridendo di quella sua risata spensierata e cristallina che ogni volta le faceva battere il cuore.
Miranda raccolse incuriosita il cartoccio, avvolti nella edizione del Guardian del giorno prima alcuni oggetti: una confezione di twinkies, i dolcetti che si divisero la sera del primo appuntamento; una dr pepper alla ciliegia, che lei adorava e, stropicciato dalla caduta, un mazzolino di fiori di campo…
Li annusò mentre il cuore le batteva all’impazzata immaginando Dean che, di nascosto dai compagni di squadra, raccoglieva i fiori con le sue grandi mani nel campo dietro le gradinate del campo sportivo.
Felice, come solo una giovane donna innamorata in uno spensierato giorno di inizio estate può esserlo, scartò i dolcetti e alternandoli a sorsi di bibita gustava l’inaspettata merenda quando…
Beep…. Beep…. Beep…

Un cicalio regolare ed insistente la strappò dai suoi sorridenti pensieri…
Di nuovo l’allarme del cloro, il dosatore automatico, probabilmente già vecchio quando i suoi genitori si scambiavano i primi baci, si era intasato di nuovo. Scrollando la testa si avviò verso i locali tecnici della piscina.

Beep… Beep… Beep…

Pareti bianche, lampade scialitiche a spargere una luce spietata incapace di lasciare spazio alle ombre, passi ovattati e voci soffuse, rumori di macchinari strani e, dopo essere aleggiata nell’aria come il fumo azzurrognolo di sigarette che indugia sopra un tavolo da poker, venne pronunciata la domanda…
“Soffre? Può sentirci?”

Il capo di Miranda, privato dei capelli e della possibilità di sorridere ancora, ormai utile solo a schiacciare l’anonimo cuscino non sentì e neppure rispose…

Un professionalmente pietoso chirurgo scosse la testa mentre la madre di Miranda scoppiava in lacrime tra le braccia del marito.

Settimane prima, al termine della festa di inizio estate, Miranda rientrava a casa in sella alla sua vecchia bici da corsa; all’incrocio con l’interstatale una vecchia Corolla ignorò il semaforo invadendo l’incrocio, guidata dalle mani tremanti di un operaio ubriaco che rientrava dalla solita serata alcolica al Jimmy’s .

Il silenzio dopo lo schianto vide solo un giovane corpo spezzato, una ruota di bici che sempre più lentamente ruotava all’inutile luce del semaforo ed i singhiozzi incoerenti dell’ubriaco.
Miranda non si riprese più, non baciò di nuovo il suo innamorato e non iniziò mai la sua prima stagione estiva alla piscina della contea.

Mentre il padre di Miranda abbracciava la moglie ed i suoi singhiozzi il suo sguardo di lungi mirava oltre i vetri della camera dell’ospedale, verso le colline e verso la piscina dove invisibile da quella distanza, una bambina nel suo costumino lilla trillava felice dentro un fischietto da bagnino, con una emme incisa sopra.